“Alle Montagne della Follia”: H. P. Lovecraft,  il genio dell’orrore.

“La più antica e forte emozione umana è la paura, e la più antica e forte tipo di paura è la paura dell’ignoto”

Quando si parla di Howard Phillips Lovecraft si parla del maggiore  autore americano, insieme ad Edgar Allan Poe, di racconti gotici, orrifici, di mistero  e fantascienza, i cosiddetti “weird tales”. Nella sua breve vita (1890-1937) ha composto 53 short stories e quattro novelle tutti scritti tra il 1917 e il 1935.

“… Lovecraft ha influenzato generazioni di scrittori e oggi è riconosciuto come un’importante, anche se minore, figura nel pantheon americano. La fama letteraria di Lovecraft appare modesta  in confronto con i suoi moderni contemporanei come T.S. Eliot, Ernest  Hemingway e F. Scott Fitzgerald, tuttavia la sua influenza culturale è stata drammatica e sostanziale[…] Lovecraft ha spianato la strada ai moderni maestri contemporanei di narrativa gotica come Stephen King, Clive Barker e Neil Gaiman […] La relativa scarsità della sua produzione letteraria è di tale qualità e originalità, specialmente le sue storie come “The call of Cthulhu” ( La chiamata di Cthulhu), “The Whisperer in Darkness” (Chi sussurra nel buio), “The shadow out of time” (L’ombra senza tempo) e le sue novelle, tra cui “At the Mountains of Madness” (Alle montagne della follia),  lo hanno consacrato come il maggior scrittore di narrativa del mistero tra i suoi contemporanei e gli hanno anche  assicurato un ben meritato posto nella storia letteraria americana.” (Erik Carl Link nell’introduzione di “The Complete Tales of H.P. Lovecraft”, Rock Point, New York, 2019)

La novella Alle Montagne della Follia (At the Mountains of Madness)  ha come ambientazione il continente antartico e, per alcune modalità di esplorazione da parte di una spedizione di geologi e cartografi immaginata da Lovecraft (le cui vicende vengono riportate in una sorta di diario da parte dei due unici sopravvissuti) ci richiama alle spedizioni scientifiche dei nostri giorni condotte da scienziati della Terra, anche italiani, che cercano di ricostruire, tramite profondi carotaggi, i cambiamenti climatici avvenuti durante le ere storiche, nell’ambito delle ricerche sul riscaldamento globale in corso. Le analoghe perforazioni sotto il ghiaccio perenne, compiute dalla spedizione immaginata dallo scrittore, hanno invece come obiettivo la ricerca di tracce di resti fossili imprigionati nelle rocce del passato.
ll professor Dyer, geologo protagonista e narratore, esordisce con l’avvisare chi si appresta a fare una spedizione scientifica verso l’Antartide, seguendo le tracce del viaggio che lui stesso fece nel 1931. Nella speranza di dissuadere questo tentativo  egli decide di fornire un completo resoconto dei tragici eventi  a cui lui era sopravvissuto.

Una folta e ben equipaggiata  squadra di scienziati  esploratori, nell’ambito di una spedizione universitaria,  comandata da Dyer, si addentra in zone mai esplorate verso la zona occidentale dell’Antartide trasportata da un paio di grossi aerei. Un gruppo di persone guidate dal biologo Lake si spinge fino ad una altissima catena montuosa ricoperta di ghiaccio e mai riportata sulle mappe mentre il grosso della spedizione rimane al campo base dal quale il comandante e narratore Dyer, assieme ad un altro geologo, segue gli eventi.
L’avamposto guidato da Lake comunica via radio delle scoperte sorprendenti in seguito a perforazioni sul ghiaccio e sulle rocce ai piedi di una enorme catena montuosa con cime alte più di 11.000 metri. Poi dopo alcuni dispacci cade il silenzio, cessa ogni comunicazione mentre nel frattempo si scatenano tempeste di vento che mettono a repentaglio la sicurezza degli accampamenti.

Al migliorare delle condizioni meteo Dyer decide di andare sul luogo per verificare e parte in aereo assieme ad alcuni uomini e da varie attrezzature, accompagnato dallo studente Danforth. Quando arriva al campo lo trova completamente distrutto con tutti i partecipanti, compreso Lake e i cani da slitta, orribilmente trucidati. La spedizione di soccorso rimane sconvolta di fronte a quello spettacolo, tuttavia Dyer rimane affascinato dalle scoperte di Lake su reperti organici e fossili risalenti a milioni di anni fa, quasi ai primordi della nascita del pianeta. Ciò lo spinge a continuare l’esplorazione e capisce che dovrà valicare quelle altissime montagne per scoprire ulteriori tracce di un mondo completamente sconosciuto e inesplorato.

Così Dyer, assieme a Danforth, parte con un areo per sorvolare le  catena montuosa, “The Mountains of Madness” come lui stesso le ha battezzate. Montagne che si scoprono ricoperte di strani pinnacoli, bastioni e caverne non di origine naturale. Oltrepassato un alto passo l’areo atterrerà al di là delle cime, su un altopiano ghiacciato. E qui inizia la parte più drammatica del racconto con i due protagonisti che esplorano una misteriosa e grande città di ghiaccio completamente disabitata e che raccogliendo alcuni reperti con grande meraviglia  scoprono che appartengono a una civiltà aliena stanziatasi in quella zona, proveniente dal cosmo più di 100 milioni di anni prima. Dalle iscrizioni e graffiti di cui le pareti delle costruzioni sono ricoperte, appare la storia di esseri mostruosi ma intelligenti, per metà anfibi e metà uccelli, con ali ripieghevoli e testa pentastellata munita di tentacoli. Dyer li chiama “the Old Ones” (gli Antichi). Durante l’esplorazione lo studente Danforth manifesta  segni di squilibrio le cui cause rimangono misteriose, limitandosi a confessare di aver assistito, durante la perlustrazione dell’avamposto distrutto, a una scena che non ha il coraggio di descrivere.

I due proseguono addentrandosi nei livelli sottostanti della città di ghiaccio seguendo le iscrizioni che raccontano tutta la storia e le vicende di quella civiltà che in un certo periodo era entrata in contatto con altri alieni  provenienti dallo spazio. Ma questi esseri prima inoffensivi, dimostrano successivamente una insospettata capacità di evolversi e mutare velocemente , fino a diventare delle masse informi ma intelligenti capaci di fagocitare qualsiasi altra creatura. Si scopre così i motivi che avevano spinto gli antichi abitanti ad abbandonare la loro città per rifugiarsi in caverne e in profondi abissi sotterranei. Dyer e Danforth finiscono per addentrarsi in un cilindro che conduce a una discesa elicoidale verso un profondo sentiero sotterraneo che a un certo punto si dirama in diverse direzioni. Muniti di torce elettriche iniziano a percorrerlo accompagnati da uno strano fetore e da un grido acuto ripetuto e già udito in altri luoghi. Quel tunnel, ricoperto di strane luminescenze  viene paragonato a quello di una metropolitana ma il narratore dice che non si trovavano esattamente su una piattaforma in attesa di un treno ma bensì:  “su un sentiero dove stava avanzando  l’incubo di una colonna plastica di nere e fetide iridescenze melmose che si avvicinavano…” Poco dopo Danforth caccia un urlo  di orrore a cui segue la vista di una “cosa” di aspetto mostruosamente alieno che si dirige verso di loro: “It was a terrible, indescrivable thing vaster than any subway train – a shapeless congeries of protoplasmic bubbles, faintly self-luminous…

I due protagonisti riescono a fuggire risalendo il tunnel e arrivando finalmente all’aperto da dove erano giunti, raggiungono l’aereo che li avrebbe riportati alla base di partenza. Durante il volo però Danforth manifesta ancora sintomi di squilibrio mentale ripetendo frasi sconnesse e replicando quelle misteriose parole del grido acuto udito tra le caverne esplorate. Sintomi che permangono anche quando giungono salvi a destinazione. La voce narrante del protagonista spiega il motivo di una certa predisposizione di Danforth alla follia: lui era stato l’unico a leggere quel libro “crivellato di vermi”, intitolato Necromicon*, tenuto sotto chiave nella biblioteca dell’università.

In questo racconto dell’orrore Lovecraft raggiunge i vertici nel suo genere suscitando un senso di inquietudine sottile e contagioso, trasmettendoci quei brividi e quelle emozioni chiamate incubi, che molti di noi hanno provato da bambini nell’oscurità del dormiveglia.

* Un libro mai esistito, inventato dall’autore per giustificare l’origine dei suoi racconti:  “Secondo August Derleth, amico ed editore di Lovecraft, il nome Necronomicon fu ricalcato dallo scrittore sul titolo dello Astronomicon Libri («libro che riguarda gli astri») del poeta romano di età augustea Marco Manilio, per cui il significato sarebbe: libro che riguarda la Morte.”

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