Sì, Ettore Schmitz-Italo Svevo, ha lasciato una traccia anche nella città lagunare e non solo come imprenditore della ditta dei suoceri…
Ettore Schmitz, ovvero Italo Svevo, visse dal 1899 al 1914 alla Serenella, nell’isola di Murano di fronte a Venezia, lavorando come direttore della filiale della fabbrica chimica di vernici, proprietà dei suoceri Veneziani, la cui ditta aveva sede a Trieste. Nei quindici anni trascorsi nell’isola, descritti nelle lettere alla moglie Livia per lo più rimasta a Trieste, risulta molto occupato con il controllo della produzione nello stabilimento e degli operai che vi lavorano. Tuttavia trova il tempo per scrivere una trilogia di racconti brevi e incompiuti, i cosiddetti “Racconti di Murano” o “Novelle muranesi”, abbozzati di nascosto contro i divieti della terribile Olga, la suocera imprenditrice. Ettore-Italo in questo modo si tiene in esercizio in vista della scrittura del suo romanzo, La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, che ha decretato il suo successo (anche se riconosciuto in ritardo) nel panorama letterario italiano ed europeo dei primi decenni del Novecento.
La fine del periodo muranese coincide con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale in cui Svevo deve tornare a Trieste nella sede principale della ditta i cui stabilimenti verranno poi chiusi nel ’17 dall’Austria perché la famiglia di Svevo non vuole rivelare il segreto della formula chimica (la famosa vernice sottomarina Moravia) artefice del successo economico della ditta.
Nei tre racconti Marianno, Cimutti, In Serenella Svevo osserva e descrive la vita rustica degli abitanti che appare nei suoi personaggi dediti a lavori manuali. In Marianno il protagonista è un ragazzo trovatello che viene assegnato a una famiglia di bottai dove lavora aiutando il padrone, un po’ sfruttato e un po’ coccolato; Cimutti è un operaio furbo e beone con una moglie che sgobba da mattina a sera per mantenere una figlia malata. Il suo padrone invece ha un carattere debole e fatica a far rispettare i suoi ordini. I vari episodi di questo racconto, così come In Serenella, dove ritorna la figura di Cimutti intento a riempire casse e sacchi di merce sfusa da caricare in barca, e dal padrone Giulio (alter-ego dello scrittore) che con la moglie erano giunti da Trieste per intraprendere quell’attività a Murano, sono tratti da vicende reali, così come i nomi dei personaggi. Entrambi, l’autore Ettore-Italo e il suo protagonista costretti a vivere in quell’isola, scontenti del loro lavoro, diventano dei sognatori che, nel tentativo di estranearsi dalla realtà e da un senso di solitudine, contemplano il paesaggio circostante, come in questo passo da In Serenella:
“«La luce veniva lenta a destare i colori della palude, del canale, della spiaggia verde dell’isola. L’enorme piano s’era illuminato gradatamente tutto nello stesso tempo. Il sole non si vedeva ancora ma la luce che riverberava dal cielo si diffondeva senz’ostacoli dappertutto nello stesso tempo. Al di là della palude appariva la città con l’aspetto modesto ch’essa ha da quella parte, pareva un alveare disabitato. I profili delle case si scorgevano netti, limpidi, come se la notte li avesse lavati. In tanta estensione l’immobilità, il silenzio appariva grande sorprendente. La palude era rossigna a quell’ora; vista da vicino appariva sucida, desolata, abbandonata com’era da varie ore dall’acqua che ancora calava. Il canale che divideva la palude dall’isola già sorrideva, trasformando in colore ben deciso la luce ancora sbiadita ed era trasparente e azzurro e poi ancora giallo e rosso là dove meno profondo lambiva la palude».
Ora, a più di cento anni dopo queste vicende, al posto dello stabilimento, in Serenella a Murano (raggiungible facilmente dalle linee di navigazione ACTV), sorge un agglomerato di abitazioni, un piccolo quartiere con una dedica a Italo Svevo apposta dall’amministrazione comunale in un targa artistica in cui sono riportate alcune righe tratte dai Racconti di Murano.
[Fonti: http://www.miamurano.it/ ; “«una vita continuamene randagia», Suggestioni veneziane di Italo Svevo”, Barbara Sturmar, in Le Panarie n.206, sett. 2020”]