Italo Svevo: “Una Burla (molto) riuscita”

A 160 anni dalla nascita, parliamo di Italo Svevo.

Così Italo Svevo inizia questo breve romanzo, con il sottotitolo “Cortoromanzo di uno scherzo” scritto due anni prima della sua prematura morte e pubblicato postumo nel 1929. Anche in questo libro l’autore, inserisce elementi autobiografici, ancor più forse che nei suoi tre precedenti: la storia dello scrittore fallito, senza aver mai conosciuto il successo, è ben rappresentata dalla vicenda letteraria di Italo Svevo, uno scrittore “In perenne esordio che partorisce a proprie spese i suoi inascoltati gemiti”, come scrive Danilo Lancetti nella prefazione del volume edito da Leone (Milano, 2009). Il protagonista della “Burla” vive una vita da scrittore sconosciuto, vilipeso dalla sorte, fino a rimanere anche vittima di uno scherzo crudele che gli fa credere di avere l’agognato successo editoriale. Ma le cose volgono inaspettatamente a suo favore quando al culmine della beffa viene invece premiato: Mario Samigli avrà la sua rivalsa e senza pubblicare nulla guadagnerà moltissimo.
Emblematico, realistico e quanto mai a proposito, guardando il caso Svevo, il pensiero  alla fine della prefazione: “A dispetto di molti volumi stampati, che fanno mostra nelle librerie, ieri come oggi. Abbandonati senza riscatto all’impietosa conta dei botteghini, e quel che è peggio, ripudiati dalle cronache letterarie del futuro.”
Questa opera segue la trilogia dei romanzi “Una Vita” (1892), “Senilità” (1898) e il suo capolavoro “La Coscienza di Zeno” (1923). Mentre nei due romanzi pubblicati alla fine del XIX secolo la figura del protagonista, “l’inetto” impiegato rappresentante della media borghesia risulta succube dei propri limiti e idiosincrasie, e se nella “Coscienza” il protagonista riesce a superarli tramite la psicanalisi, in questo breve romanzo pubblicato postumo, vi è il completo riscatto dello scrittore in cerca di gloria, sbeffeggiato e ignorato che riesce alla fine a superare la propria condizione, non solo, ma ad umiliare il suo detrattore.
Per quanto riguarda la figura letteraria di Italo Svevo, sul quale si sono scritte centinaia di pagine da parte della critica sulla sua produzione letteraria e sul suo riconoscimento di primo scrittore italiano di levatura europea (assieme a Pirandello),  la sua completa rivalutazione è avvenuta solo dall’inizio degli anni ’60 (tanto che proprio in quel periodo l’autore è stato inserito nei programmi scolastici).
Vale la pena di citare questa definizione di Barbara Sturmar, profonda conoscitrice dell’opera dello scrittore (nell’Introduzione da  “La vera battaglia Italo Svevo,la cultura di massa e i media, Eut Edizioni Università Di Trieste”):
“Italo Svevo fu scrittore di confine fra Italia e Germania, Ottocento e Novecento, lingua italiana e dialetto triestino, ebraismo e laicità, coscienza e inconscio, comicità e tragedia, scienza e dilettantismo, filosofia e arte, autobiografia e finzione artistica. Il suo vero nome era Aron Hector Schmitz, mentre gli pseudonimi usati furono Ettore Samigli e Italo Svevo (che a sua volta rendeva esplicita la doppiezza di Italo – sia in politica, sia nella scelta linguistica – e di Svevo – cioè tedesco per cultura, filosofia e mentalità). Parallelamente, per una parte della vita del narratore Trieste fu austriaca e poi italiana, terra di contrabbando culturale e di traffico intellettuale.
La continua smania di sapere e la curiosità nei confronti del mondo portarono Svevo ad approfondire numerosi aspetti dell’esistenza, verso l’esterno e all’interno di se stesso, tra cui il socialismo, la scienza, la filosofia e la psicologia; ma egli non ricercò l’ortodossia in nessuna fede culturale, poiché verificò le teorie sulla vita reale, sulla propria quotidiana esperienza…”

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